Boh, cioè in pratica qualche giorno fa apro l’internet, spulcio le notizie e leggo che Eric Clapton si rifiuterà a suonare in tutti quei posti dove l’accesso sarà consentito solo ai possessori di green pass, cioè a chi è vaccinato contro il covid.
Rileggo di nuovo: le parole sono esattamente quelle, il mio cervello non può sbagliarsi. Eric Clapton. Eric “Slowhand” Clapton, si, proprio lui, insomma lo conosciamo tutti. Se la prende con il governo inglese perché ritiene la misura discriminante, e quindi, se gli gira, potrebbe cancellare i suoi futuri concerti.
Mi gratto la testa. Non capisco, mi sfugge probabilmente qualcosa. Ma Eric, così, de botto, senza senso? Ti alzi la mattina e spari na bomba del genere? Boh, mi piacerebbe capire come mai il buon Mano lenta si è svegliato di cattivo umore, e così cerco qualche altra informazione sempre sull’internet. La mia refrattarietà al gossip e l’epidermico odio verso il continuo turbinio delle news avevano colpito ancora. Con grande ritardo, apprendo che Clapton ha passato parte del 2020 e del 2021 a dire peste e corna contro i vaccini e i lockdown, prestando orecchio a politici e ad altre figure pubbliche che si dilettano con la carta stagnola mentre denunciano dai loro pc fantomatici governi ombra. Ha detto di aver ricevuto pure la sua dose di Astrazeneca e che è stata un’esperienza tremenda, ha avuto paura di non poter più suonare. Ha partecipato in due brani con Van Morrison (pure lui contro le misure anti-covid, così, de botto) e come due Bonnie & Clyde (o Cip e Ciop, se volete) si sono fatti i pompini a vicenda prendendosela contro questo e quello, e che non siamo liberi, e che dobbiamo combattere perché se no sarà un lockdown perenne, e che qua una volta era tutta una rivoluzione, e non ci sono più i ribelli di una volta, signora mia!
Povero Eric. O forse povero me, che non capisco davvero come stanno le cose. Che i fan di Clapton si aspettino proprio questo? Oppure il chitarrista inglese ha adocchiato un nuovo segmento di marketing da sfruttare? Tipo il “lockdown blues” o il “covid blues”… che poi, quanto cazzo è blues il lockdown??? No davvero, immaginatevi un bluesman chiuso in casa, sigaretta perennemente accesa sul posacenere, accanto un bicchiere di whisky, solo lui e la sua chitarra mentre ulula ubriaco una cosa tipo: “Questa casa è fredda e buiaaaa, proprio come la mia animaaaa/Una donna ormai è cosa anticaaaa, mi rimane solo la mia mano amicaaaa“.
Capisco che uno possa essere spaventato, vista l’eccezionale situazione in cui il mondo è recentemente precipitato; capisco anche che un musicista del suo livello, di fama mondiale e con una carriera che va avanti da circa 60 anni, appena sente qualcosa che non va nel suo corpo – e soprattutto nelle sue mani – vada nel panico; capisco anche che hai le palle girate perché ti sono saltati i tour, e si sa, oggi i musicisti tirano a campare vendendo i biglietti dei concerti. Capisco tutto. Quello che non capisco – o meglio, quello che la mia mente si rifiuta di accettare – è come un musicista di tale caratura, che ha davvero rappresentato nel corso dei suoi anni migliori cosa significhi ribellarsi all’autorità, possa sminuire e banalizzare l’idea fondamentale di ribellione, riducendola ad un generico e cieco ribellismo infantile in salsa complottista. Davvero per Eric Clapton e Van Morrison non indossare una semplice mascherina e non vaccinarsi sarebbe segno di ribellione? In che modo seguire delle semplici regole che possono salvare la propria e la vita altrui significherebbe andare controcorrente?
Quanto cantano Clapton e Van Morrison in The Rebels è vero. Sono d’accordo con loro: che fine hanno fatto i ribelli? Dove sono finiti? Nel video scorrono le immagini stilizzate di alcune icone musicali degli anni ’60 e ’70, gli anni nei quali i due musicisti hanno inciso i loro dischi più interessanti e durante i quali sono assurti a simboli per un’intera generazione che si abbeverava alla fonte della controcultura americana, che contestava il massacro e l’invasione del Vietnam, che si batteva per i diritti civili e sociali, che esplorava nuovi territori, dall’arte alla sessualità, sino alle droghe e alla spiritualità. Erano davvero anni ribelli. Oggi, a distanza di metà secolo (dovremmo ripetercelo più spesso e più lentamente, M E T À S E C O L O, per realizzare pienamente l’oceano di tempo che divide l’oggi da allora e che sembra essere passato in un lampo), ovviamente le cose sono radicalmente cambiate. I ribelli nella musica non ci sono più perché sono stati assorbiti dal music business o tagliati completamente fuori da esso. Le nuove icone pop sono troppo interessate a loro stesse, ai loro piccoli drammi quotidiani e alle loro stories sui social per poter cantare di ciò che non va nel mondo. Eppure, di motivi per ribellarsi e incazzarsi di certo non ne mancano; ciò che scarseggia è la coscienza ribelle. Abbiamo tutto e di più, e finché curiamo esclusivamente il nostro orticello non ci interessiamo a ciò che accade intorno. Durante la pandemia, le nostre ansie e insicurezze verso il futuro sono cresciute (non quelle dei miliardari, per loro sono aumentati solo i portafogli). Il mondo ha assunto ancora di più i contorni di una lotta di tutti contro tutti.
Nello stesso tempo, però, la ribellione di cui parlano Clapton e Van Morrison è solo una grottesca caricatura che finisce per scadere, appunto, nel ribellismo spicciolo. Adottare una mentalità complottista, denunciando un generico ed inconsistente “loro” come simbolo di un’autorità malvagia, non aiuta e non serve a nulla, anzi, fa proprio il gioco del potere. Avrai pure fatto gli anni ’60 e tutte le lotte controculturali ma se non sei capace di analizzare il presente e di sceglierti le lotte, rischi solo di fare più danni, soprattutto se sei un personaggio pubblico molto in vista.
Mi chiedo: è questo, quindi, ciò che rimane in ambito musicale della ribellione? Si è passati dalle ballate di Bob Dylan e Joan Baez, che cantava di Sacco e Vanzetti denunciando l’abuso del potere sui deboli, a una visione della realtà paranoica dove il giusto e l’ingiusto sono calibrati ogni volta sui desideri del singolo? Dire che è deprimente è dir poco. Dove sono le alternative? Sicuramente ci sono, e risiedono, come sempre, nell’underground musicale, quello lontano dai riflettori, dalle grandi arene e dai grossi numeri. Ma il punto è far arrivare determinati messaggi “sopra”, al grande pubblico. Perché finché si è i soliti quattro gatti che ascoltano e recepiscono certi messaggi non cambierà nulla.
E la cosa che più di tutte mi fa incazzare è che il nuovo album di Van Morrison è pure una figata. Un doppio album stilosissimo, fra jazz e blues, con una produzione molto curata e ogni pezzo carico di groove. Nella prima parte è presente anche la stessa The Rebels, arrangiata senza Clapton. I testi… bè, vi lascio immaginare di cosa possano parlare. Di certo non denunciano, ad esempio, il monopolio dei vaccini da parte dei paesi più ricchi ai danni di quelli più poveri, nei quali solo circa l’1 per cento della popolazione ha potuto ricevere finora una dose.
Certo che no. Non sarebbe stato troppo da ribelli.