Che certo giornalismo musicale italiano sia completamente allo sbando non suonerà di certo come una novità; se si tiene conto, poi, il contesto nel quale opera al giorno d’oggi, sembra davvero impossibile poter fare un’informazione musicale corretta, contestualizzata, interessante ed equilibrata. Il mondo della comunicazione è schiacciato da processi sempre più grandi e veloci, fra cui una lotta continua per ottenere sempre maggiore visibilità e la forsennata saturazione della scena musicale che non lascia il tempo di digerire adeguatamente alcunché. Finisce un anno, si tirano le somme e via di nuovo da capo, come un ruota che gira da sola senza nemmeno l’apporto del classico criceto. È il mondo intero che ormai funziona così, non solo quello musicale, con tutti i pro e i contro del caso, ma mi stupisco sempre di meno nel vedere che in giro aleggia sempre più stanchezza fra le persone e un senso generale di sfinimento, come un corridore che non ce la fa più o un naufrago che cerca di rimanere a galla in mezzo ad un mare in tempesta. Bombardati da stimoli ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette, con smartphone e tablet sempre a portata di mano, rifuggiamo la complessità per ritirarci nelle nostre micro bolle, spazi sacri dove trovare conforto e poter ricomporre il profilo del mondo a nostra immagine e somiglianza. È lì che tiriamo un sospiro di sollievo perché è lì che ci sentiamo al sicuro. E non è nemmeno una questione di “saperi”, di “capacità” e “formazioni individuali”: il sapere si è infranto in mille rivoli ed è inteso in maniera così specialistica che anche chi cerca di informarsi adeguatamente alla fine sente sempre quel senso di sopraffazione montare al suo interno. La disorientante sensazione di essere seduto in un treno lanciato a 400 km/h la cui meta è completamente ignota. O forse solo destinato a girare in circolo, per sempre, fino a quando non deraglierà nel baratro sottostante.
Non so cosa possa c’entrare questa introduzione con l’ultimo disco di Marracash, Noi, loro, gli altri. O meglio, con alcuni giudizi letti in giro per la rete che definire glorificanti è dire davvero poco. È stato scomodato De André, e sarebbe solo un’operazione per attirare l’attenzione verso l’articolo se non fosse che proviene da una delle riviste italiane capace di creare hype anche intorno ad un lavandino gocciolante. Marracash è stato appellato come intellettuale per il suo presunto tentativo di raccontare il presente. Noi, loro, gli altri è stato indicato come il nuovo La morte dei miracoli di questo decennio. Giudizi esagerati, parole fuorvianti, un’idea del disco in questione che sembra più urlata e accecata dalla meraviglia che prodotta dal reale riscontro con la musica.
Qui il problema non è Marracash o il suo ultimo disco, che è probabilmente ciò che di meglio il mainstream italiano ha da offrire al momento in ambito rap-pop: pezzi solidi, produzione curata, paraculate si ma limitate. Il problema è ciò che si vede nell’album, quello che vorremmo che sia ma che in realtà non è: un testamento intellettuale, una visione critica sul presente, un disco di rottura. Personalmente non so se Marracash si senta come un novello Pasolini o un Durkheim del XXI secolo, ma ciò che certa stampa italiana ha cercato e sta cercando ancora di fare è quello di proiettare le proprie aspettative su questo disco (e automaticamente sul suo autore) in modo da poter fare alla fine ciò che le riesce meglio: vendere un prodotto.
Dove sarebbe lo sguardo critico in Noi, loro, gli altri? Uno sguardo di questo tipo implica sostanzialmente due cose: una certa distanza da ciò che si vorrebbe analizzare e una messa in discussione dei presupposti dell’oggetto preso in esame. Ora, nel nuovo album di Marracash questi due elementi sono assenti e quando cercano di venir fuori vengono immediatamente fatti rientrare nel recinto di una visione normalizzante, superficiale ed anche qualunquista. Marracash non predica violenza, non cerca vendetta e non ha l’aria da sbruffone che gioca a fare il gangster; all’apparenza ha un tono più dimesso – da adulto, come detterebbe la narrazione di Rolling Stones & co. – ma in realtà i suoi versi covano ancora al loro interno una voglia di auto imposizione sugli altri tipica di certo rap più stradaiolo e sopra le righe. Nelle sue nuove canzoni si critica tutto e tutti, ovvero niente, e non si critica niente per il semplice fatto che il vero scopo in Noi, loro, gli altri non è quello di mettere alla berlina potenti, ipocrisie e mal costume generale – obiettivo primario, al contrario, di un lavoro profondamente politico come La corte dei miracoli di Frankie HI-NRG – ma potersi mettere ancora una volta sotto i riflettori per urlare quanto si è puri, sinceri, autentici. Insomma, migliori di tutti gli altri, anche lì dove si scambia l’autocommiserazione per fragilità, vestendo il proprio egocentrismo con toni tragici e lacrimevoli come in Dubbi.
Basta davvero mettere una citazioncina di Mark Fisher a fine pezzo – una frase ormai talmente tanto sputtana da essere assimilata a quelle dei Baci Perugina – per essere considerati grandi intellettuali? Detta poi da uno che ha sempre esaltato un certo stile di vita edonista fatto di soldi, auto e donne. Per i rapper come Marracash, eliminare le differenze sociali (qualunque cosa possa significare) il più delle volte significa semplicemente fare più soldi possibile per entrare a far parte di quella fascia sociale più ricca che non fa altro che alimentare ulteriori differenze sociali. È solo rivalsa.
Pagliaccio e Cosplayer, ad esempio, non sono nient’altro che delle perculate continue nei confronti di chi, secondo il rapper, si cala la sua maschera pubblica cercando approvazione per mettersi in mostra. Ma guarda un po’! È la stessa cosa che fa Marracash nel momento in cui veste i panni del cattivo di turno urlando NON AVREI PAURA DI VOI NEMMENO SE FOSTE DAVVERO ARMATI! VOLETE FARE LA GUERRA CON ME? FATE LA GUERRA CON IL PIU’ FORTE! Insomma, solito, vecchio, ultra contemporaneo individualismo.
Marracash spara continuamente a zero nella mischia, confondendo tutto e il contrario di tutto e non lasciando mai capire contro chi o cosa realmente vorrebbe scagliarsi. In questo modo però non si fa nessuna critica, bensì solo ragionamenti da bar, affettati e superficiali, che permettono inoltre di partorire banalità qualunquiste di questo tipo:
Oggi che possiamo rivendicare di essere bianchi, neri, gialli, verdi
O di essere cis, gay, bi, trans o non avere un genere
Non possiamo ancora essere poveri
Perché tutto è inclusivo a parte i posti esclusivi, no?
Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità
Abbiamo perso di vista quella collettiva
L’abbiamo frammentata
Noi, loro e gli altri
Noi, loro e gli altri
Persone
E qui ci starebbe un enorme, mastodontico ESTICAZZI!? La lotta per il riconoscimento delle minoranze non eterosessuali e non bianche viene confusa con le polemiche reazionarie ed identitarie, il narcisismo da social equiparato alle voci di chi davvero avrebbe qualcosa da dire e da denunciare, e così via in un continuo turbinio dove tutti interpreterebbero una parte. Fenomeni ed eventi di natura differente e che meriterebbero gli opportuni distinguo ed una sensibilità, questa si, critica vengono messi insieme in un magma indistinto. Tutto è ridotto ad un semplice gioco di maschere: non c’è un sopra o un sotto, tutto è smussato e messo sullo stesso livello per poter essere criticato. Invece di indagare le motivazioni politiche e sociali di tali spinte al riconoscimento, Marracash preferisce la via facile facendo di tutta l’erba un fascio. Non solo: pretende anche di tirarsi fuori da questa realtà e di adottare uno sguardo che vorrebbe passare per disincantato o quanto meno super partes, ma che tale non riesce ad essere, finendo solo per fargli fare la figura di chi non ci sta capendo assolutamente nulla. Ecco allora il colpo da intellettuale 2.0: bisogna ritornare ad essere persone! Un pensierino degno di uno status su Facebook, ma Marracash ci ha fatto sopra un disco e c’è chi l’ha pure elevato a rango da intellettuale.
I versi sopra riportati, inoltre, stridono tantissimo in un album in cui, in pieno spirito individualista, si mette in scena continuamente una visione tribale del mondo, dove vige la guerra di tutti contro tutti – i puri e i sinceri vs. gli ipocriti e gli arrivisti – e dove si ammette tranquillamente che Noi siamo qui a fare quello che ci piace, loro sono la fuori che criticano e tutti gli altri sono intorno che tirano avanti. Potessi scegliere, sceglierei cento mila volte noi, ma è un attimo che ti ritrovi in mezzo a loro o che finisci male… come tutti gli altri. Morale della storia: che schifo essere come tutti gli altri.
Marracash crede di parlare di persone ma in realtà parla solo di una cosa: di sé. Quando dice Noi sta dicendo Io, il suo mondo, la sua musica, la sua famiglia, i suoi amori, i suoi successi, la sua sincerità, la sua superiorità morale. Il Loro esiste come entità giusto al di là del confine, per lo più come avversario indistinto (e quindi adatto per tutte le stagioni) da sconfiggere questa volta non con armi e pallottole ma con il valore morale dell’attitudine e della supposta autenticità. Gli Altri assistono a questo spettacolo, pubblico urlante nell’arena dei gladiatori oppure come massa grigia ed indifferente, costretta a vivere una vita piatta ed anonima.
Alla fine della fiera la cosa preoccupante non è tanto che un rapper che ha da sempre impostato la sua narrazione in questo modo lo faccia ancora una volta: è quello che gli riesce meglio ed è quello che il suo pubblico richiede, probabilmente. Il serio problema è che buona parte della stampa musicale si lasci abbagliare in modo così grossolano. Perché? Per fare cosa? Qual è l’obiettivo ultimo? Forse il livello culturale è talmente tanto basso che non appena qualcuno sembra dimostrare delle qualità appena sufficienti per produrre qualcosa di decente si grida al miracolo. O forse siamo talmente annoiati dalle nostre vite tutte uguali che sentiamo la necessità di creare sempre nuovi eroi, capolavori ed opere immortali per dare un senso ulteriore al tutto.
Ancora: più prosaicamente, siamo dei poveri coglioni che vogliono sentirsi migliori di tutti gli altri. Vogliono vivere anche loro una vita alla Marracash. Vogliono anche loro provare l’ebrezza dei soldi, dello champagne versato sui corpi perfetti delle modelle e dei modelli, di sfrecciare in Lamborghini per poi tornare nella propria villa con piscina per piangere lacrime di diamanti nell’ennesima storia su Instagram dove ci lamentiamo di non essere compresi e di quanto crudele e falso sia il mondo.
Che stanchezza. Che noia.
Naufraghi in un mare in tempesta, ancora un volta. In attesa che il treno deragli una buona volta facendo calare il sipario su questo spettacolo senza fine.