L’altro giorno ho visto Promising Young Woman (“Una donna promettente” il titolo italiano del film, e ci è andata bene che a sto giro si sono limitati a tradurre letteralmente il titolo e non a cambiarlo). Ero partito con le migliori intenzioni e con sincera curiosità ma… niente, non mi ha convinto del tutto, forse anche a causa dell’enorme risonanza che ha avuto in lungo e in largo (candidato pure agli Oscar come Miglior film, ha letteralmente fatto impazzire gli americani). Logica conseguenza: le aspettative erano state settate su un livello non altissimo, ma abbastanza alto. Intendiamoci, non è assolutamente un brutto film. A mio avviso, uno dei suoi punti più originali è proprio quello di aver spostato il punto di vista dalla vittima a chi le sta accanto, mostrando come un evento traumatico e violento come quello dello stupro possa coinvolgere emotivamente anche amici e familiari. La vendetta di Cassie Thomas, interpretata da una glaciale, malinconica e disillusa Carey Mulligan, diventa quindi più un’ossessione che un’effettiva ricerca di giustizia, che dominerà ogni aspetto della sua vita, anche quando tutto sembrerà essersi assestato per il meglio. Evidente anche la voglia di voler cercare una propria via rispetto agli stilemi delle classiche luride storie rape & revenge, evitando di sbattere lo stupro vero e proprio sullo schermo ma decidendo di mettere in scena una (purtroppo) vasta gamma di situazioni e atteggiamenti tossici e maschilisti – dal catcalling per strada al vero e proprio stupro di gruppo – che è difficile trovare esposti con altrettanta lucidità e in tutta la loro lampante meschinità in altri film simili. Insomma, non sarebbe affatto male se noi maschietti vedessimo questo film almeno per renderci conto di quanto siamo stronzi e, sotto sotto, molto deboli; per le femminucce di quanto sia necessario alzare la testa di fronte a certi comportamenti e abbattere definitivamente il muro di normalizzazione che circonda questi atteggiamenti per non esserne, consapevolmente o meno, complici.
Tutto bene quindi? Non esattamente, almeno dal mio punto di vista. Promising Young Woman rischia in più punti di diventare didascalico, talmente tanto assorbito dal suo obiettivo principale – denunciare il maschilismo tossico diffuso – che si dimentica di mettere in scena una storia che faccia davvero presa e che scuoti i nervi in qualche modo. Non aiuta nemmeno l’andatura erratica della sceneggiatura, che sbalza la protagonista da una situazione ad un’altra senza una reale soluzione di continuità, pretendendo tanti, troppi atti di fede dagli spettatori. Personalmente, trovo che il film eccelle sul lato comedy, e per due motivi: i dialoghi dominati dai botta e risposta – la scena in cui la protagonista sputa nel caffè di uno dei personaggi maschili principali il quale, consapevolmente, lo beve, è fantastica, prologo ai tira e molla della storia d’amore che occuperà la parte centrale del film e che risulterà la cosa più avvincente – e la sua patina caramellosa e dai colori pastello che fa molto “femminismo pop 2.0” (fondamentale in questo senso la colonna sonora composta da pezzi che vanno da Charlie XCX a Paris Hilton, mentre non pervenuto Anthony Willis, che firma una OST molto classica e molto alla Bernard Hermann, da thrillerone tutto archi e suspence, che sinceramente non trova presa nel film).
Il proverbiale asino casca invece sul lato puramente rape & revenge (il colpo di scena finale non mi ha fatto né caldo né freddo, l’ho trovato troppo prevedibile). Non so, cercare vendetta per lo stupro della propria migliore amica a colpi di parole e sensi di colpa anziché a colpi di katana come in Kill Bill? Ok, ci può stare; il punto è che in Promising Young Woman questo meccanismo rischia di appiattire il tutto e di non essere pienamente efficace.
Mentre guardavo Promising Young Woman avvicinandomi ormai alla fine della storia, ecco all’improvviso un pensiero: e se all’improvviso sbucassero le Otoboke Beaver?
Visto il video? No, perché è tutto lì: la musica, quel misto di hardcore punk e schizofrenia alla Melt Banana; la japponesità; la follia; l’attitudine bad ass e caciarona. Itekoma Hits, il loro secondo album del 2019, ha diffuso il loro nome presso il pubblico occidentale prendendolo a nunchaku in faccia come Bruce Lee: semplicemente un mina vagante, e non si tratta solo di riff e volume, ma anche di un approccio al songwriting più imprevedibile, differenziato, dissonante, che graffia sulla pelle e lascia disorientati. Come la protagonista di Promising Young Woman, le Otoboke Beaver smerdano e mettono alla berlina quei comportamenti arroganti e maschilisti di certi uomini sicuri di poter fare il cazzo che vogliono con l’altro sesso. La differenza però risiede nell’attitudine: le Otoboke Beaver tirano calci nei coglioni e si sbellicano dalle risate mentre ti contorci dal dolore. Roba più vicina a Tura Satana e a “Faster, Pussycat, Kill! Kill!”
E se non è chiaro, le quattro giapponesi lo dicono chiaro e tondo con questo pezzo uscito due anni fa e che farà parte del prossimo disco in uscita a maggio, Super Champon: I AM NOT MATERNAL! Un titolo che suona come un manifesto di intenti.
Ribadiamo il concetto e alziamo il volume.
Veloce, sfrontata, colorata e rumorosa: la musica delle quattro Otoboke Beaver è fatta apposta per dare fastidio, è il suono di quelle donne che se ne strafottono di ciò che c’è intorno e tirano dritto per la loro strada. Amiche, sorelle, complici, sicure di poter contare le une sulle altre, la loro è vera “sorellanza” e autentico supporto (nelle foto sui social sembrano delle adolescenti qualsiasi che si divertono in giro, non certo delle rockstar o dei punkettoni incazzati). Nella loro musica c’è l’abbattimento di ogni filtro, ideologico o mediatico finalizzato per darsi un tono: zero cazzate, zero moine, puro e semplice divertimento, finanche infantile, nel senso più puro del termine, perché è al di là del bene e del male.
Per questo donne e musiciste come le Otoboke Beaver possono far paura: perché sono animali incontrollabili, liberi e selvaggi, che gli uomini fanno fatica a tenere a bada con le loro manie di controllo e sottomissione. Il punk delle giapponesi è femminismo combattivo puro; magari pure inconsapevole, ma proprio per questo efficacissimo e pericolosissimo.
Non hanno bisogno di chiedere il fuoco a nessun altro, fieramente lo rubano da sé.
In Promising Young Woman possiamo ritrovare le Otoboke Beaver quando Cassie rompe a colpi di mazza la macchina dell’automobilista molesto fermatosi apposta per insultarla; nello sguardo non curante della protagonista nella succitata scena dello sputo nella tazza di caffè; quando Cassie, a piedi nuda e sicura di sé, fissa senza dire una parola un gruppetto di operai che le rivolgono per strada attenzioni indesiderate, costretti poi ad abbassare intimoriti lo sguardo (altra sequenza memorabile); nella profonda e dolorosa amicizia che la lega alla sua amica Nina, vittima di stupro, per la quale rischierà di sacrificare tutto, anche la sua stessa vita.
Abbiamo tutti e tutte bisogno di donne promettenti di questo tipo.