The Xmas Carol è arrivato alla sua tredicesima casella, e Lividi e Musica è onorato di poter portare il suo modesto contributo a questo particolare calendario dell’Avvento. Ringrazio infinitamente Shio di Il mondo di Shioren per aver condiviso l’idea, ma anche per la gentilezza, la disponibilità e l’opportunità.
Perché di questo si tratta, per me: di una piccola opportunità per condividere virtualmente con altri appassionati una storia. A differenza di alcuni partecipanti, non sono uno scrittore e non ho pubblicato romanzi o racconti, mi sono avvicinato alla scrittura solo molto recentemente e ho iniziato a buttare giù idee e parole nel fondo del pc, sperando che possano germogliare. Per questo, ogni opinione e parere su ciò che andrete a leggere è bene accetta.
Ho scritto principalmente articoli di musica e cinema un po’ di qua e un po’ di là in giro per la rete e non solo, e The Xmas Carol mi è subito sembrato un modo per mettermi alla prova con altro, oltre che un pretesto per spezzare la monotonia tematica del blog. Lividi e Musica è nato a fine luglio, e vorrebbe essere, almeno nelle intenzioni, un luogo dove poter discutere di tutto ciò che riguarda la musica e ciò che le gira intorno. Non amo il gossip e i pettegolezzi fini a se stessi, per questo cerco di mantenere un approccio quanto più critico possibile verso i “fatti musicali”. Non sono un esperto, un luminare, un musicista (anche se mi diletto a suonare) o chissà cos’altro, sono solo uno dei tanti che, invece di sparare sentenze al bar, cerca di mettere in fila i suoi pensieri in una forma quanto meno comprensibile. Spero semplicemente di trovare qui altre persone interessate con cui condividere questa passione.
Mi scuso in anticipo se il racconto potrà risultare un po’ lungo. Vi consiglio di mettervi comodi, meglio se vicino al caminetto. All fine del racconto troverete una piccola sorpresa (per chi non la conoscesse), sempre aderente alla storia e al tema del blog, la musica. Ringrazio chi vorrà leggere per il suo tempo e la pazienza.
Buona lettura e a domani con il canto numero 14 di La nuova corte dei miracoli.
The Xmas Carol è un progetto ideato da Shio del blog Il mondo di Shioren. Come nella tradizione del calendario dell’Avvento, i blogger partecipanti condivideranno le loro storie, illustrazioni, poesie e pensieri a tema natalizio dall’8 al 24 Dicembre. Ogni autore e autrice ha una propria giornata durante la quale pubblicare il proprio lavoro, il quale verrà poi ricondiviso dagli altri partecipanti sui rispettivi blog. Un modo diverso e divertente per aspettare il Natale.
Anche gli ippopotami festeggiano il Natale
Il nastro trasportatore si azionò con un sordo ronzio, e la prima cosa che vide arrivare fu un pacco di pannolini per cani. Il vecchio lo prese con riluttanza, se lo girò in mano per un paio di secondi come se stesse osservando una forma di vita aliena sconosciuta e alla fine lo fece scivolare nello scatolone, pronto per essere imballato. Un po’ di cuscinetti di plastica, di quelli che servono ad attutire i colpi durante il trasporto, un po’ di nastro adesivo azzurro ai lati e il gioco era fatto. Via di nuovo sul nastro, su quella passerella di metallo rumorosa e luminosa che avrebbe condotto il pacco come una star dritto alla premiazione degli Oscar. Il vecchio lo guardò allontanarsi zigzagando per un tratto, poi il piccolo schermo della sua postazione brillò improvvisamente, come al solito vigile ed implacabile. “Oggetto numero 137 pronto per la consegna. Ne rimangono ancora 422”. Il vecchio sbatté gli occhi stanchi e affossati. Valutò lì per lì di tirare un pugno allo schermo. Sarebbe stato gratificante. Ma alla fine optò per un semplice e meno teatrale dito medio.
Si sentiva buono.
Alla fine, lui era Babbo Natale, e quello era il 25 dicembre.
“Babbo Natale” e “dito medio” a poche parole di distanza l’uno dall’altro può risultare strano. Ma ancora più strano è sapere che ora Babbo Natale lavora per la più grande multinazionale del mondo, Alazon. Ebbene si, la modernità – che con lo stesso disincanto con cui distrugge vecchie icone e miti del passato, ne ricostruisce sempre di nuovi alla velocità della luce – può vantarsi di aver mandato in malora uno dei simboli del Natale, anzi IL simbolo del Natale per eccellenza: Babbo Natale, per l’appunto. Come questo sia potuto accadere? Beh, ma è presto detto: avete presente un bambino viziato che pretende continuamente, mese dopo mese, anno dopo anno, pianto dopo pianto, qualsiasi cosa gli passi per la testa? E le cui richieste si fanno col tempo sempre più assurde, impossibili ed esagerate da soddisfare? Ecco, applichiamo questo processo non solo al suddetto marmocchio ma a tutti i marmocchi di tutte le età di tutto il mondo; non solo, ma anche agli adulti di tutte le età del mondo intero, i quali si comportano anche loro proprio come marmocchi viziati. L’effetto sarà incontenibile, ingestibile, ingovernabile, imprevedibile. Non più solo vetusti giocattoli di legno, trenini elettrici, bambole parlanti, monopattini per i più piccoli e maglioncini riciclati ad ogni Natale, bottiglie di liquore, libri e cravatte per i più grandi. No, assolutamente. Le gioie del consumismo passano ora attraverso desideri inconsci che danno vita alle cose più impensabili. E qui arriviamo al suddetto pacco di pannolini per cani. Ma quello non è altro che la punta dell’iceberg. Nel fondo dell’abisso risiedono nuove creature dagli schermi luminosi, ultra HD, super veloci e sempre connessi. L’esercito degli smartphone, computer, tablet, console, televisori, dvd, fotocamere, smartwatch e qualunque altra diavoleria tecnologica a cui abbiamo deciso di affidare le nostre vite. E naturalmente le vogliamo subito, immediatamente, in tempo reale, con uno schiocco di dita. E qui arriviamo invece ad Alazon. Snap!, ed ecco uno smartphone all’ultima moda; snap!, ed ecco una stampante 3D nuova di zecca di cui non sentivamo la mancanza prima che nostro cugino Mario ne decantasse le doti dopo aver visto un paio di video sui social; snap!, ed ecco un affetta-banane di cui non sapremo cosa farcene e che finirà sepolto in tempo zero nel cassetto degli utensili insieme ad altri affetta-banane (di diverso colore, però!); snap!, ed ecco la serie completa da 35 praticissimi dvd sul controllo del respiro e la meditazione di cui ci stancheremo dopo appena un’ora. Possono Babbo Natale e i suoi elfi far fronte a questo delirio? Ovvio che no. Niente più letterine per il caro, vecchio ciccione vestito di rosso, non più. Nel giro di una decina d’anni, il vecchio dalla barba bianca più famosa del mondo ha dovuto fare l’impensabile: dichiarare fallimento e mandare a casa tutti i suoi cari elfi. Le persone si erano ormai dimenticate di lui. Di ciò che ha sempre rappresentato. Alazon era diventato il nuovo Babbo Natale.
Come vi sentireste quindi di fronte a questa prospettiva se foste Babbo Natale? Se ad un tratto il mondo vi voltasse le spalle e voi faceste fatica a stargli dietro? Esattamente. Ed è qui che arriviamo al dito medio.
Neanche si ricordava quando era finito la prima volta in quel postaccio. Doveva essere quasi subito dopo aver dichiarato fallimento, molti anni fa, quando si era deciso a trasferirsi in quell’enorme città di asfalto e cemento che non dorme mai. Aveva faticato ad adattarsi, proprio lui, Babbo Natale, impossibile da credere per uno il cui volto era ovunque, dalle pubblicità in tv alle tazze per la colazione. Era stato vagabondo per qualche mese, poi alcune associazioni per i senzatetto si erano prese cura di lui. Il suo aspetto si era trasformato. Occhi scavati e arrossati, pelle del viso attraversata da rughe, mani scheletriche e, soprattutto, niente più pancione. Era diventato così magro che i pochi vestiti che aveva gli andavano due o tre taglie più larghi. Aveva iniziato a fare piccoli lavoretti in giro, cose che gli garantivano di tirare a campare e di comprare quelle due confezioni di birra alla settimana che erano intanto diventate i suoi personali anestetici contro quella vita alla quale ormai sembrava rassegnato. Qualcuno, un povero diavolo disperato come lui e che aveva perso il lavoro come lui, gli aveva suggerito di farsi la stagione invernale ai magazzini di Alazon della città. Ti spacchi la schiena, gli avevano detto, ma almeno ti becchi due soldi. E Il 25 dicembre pagano doppio.
Che paradosso, aveva pensato. Avrebbe preferito mettere a fuoco a quel posto, piuttosto che buttare sangue per chi l’aveva ridotto in rovina. Ma alla fine sapeva in cuor suo che non poteva fare lo schizzinoso. Aveva scelta? Dove diavolo sarebbe potuto andare? Aveva voglia di fermare ogni persona per strada e urlare loro in faccia: “Non mi riconoscete? Possibile che non sapete più chi sono? Guardatemi, sono Babbo Natale!”. Ma la gente l’avrebbe ignorato, deriso, insultato. L’avrebbero evitato fra la folla, come un pazzo o un appestato, come un’ombra fastidiosa che si frapponeva fra loro e il prossimo negozio dove fare l’ennesimo acquisto di Natale. Se ne sarebbero andati, lasciandolo solo, in mezzo alla neve e al vento della strada. Non avrebbe avuto neanche la forza di provare rabbia, ma solo il peso della disillusione che gli porgeva una mano sulla spalla. I suoi occhi persi, gli occhi di un povero vecchio. E gli occhi dei bambini, quegli occhi che un tempo lo guardavano con stupore, ora lo avrebbero guardato con paura.
Ed era questo ciò che gli faceva male più di ogni altra cosa al mondo.
Il suono della campana che segnava l’inizio della pausa arrivò come il fischio improvviso di un treno. Il vecchio si ridestò come da un sogno, con in mano la merce da imballare. Lesse l’etichetta: “Bocconcini per gatti vegani”. La scaraventò nella scatola con un tonfo profondo e si avviò verso la sala pranzo comune.
Finì per unirsi ad un gruppetto di persone lungo il tragitto e pensò a tre cose. La prima: quel posto era immenso, grande quanto dieci campi di calcio. Era talmente tanto grande che dalle postazioni di smistamento dove lavorava sino alla sala pranzo si impiegava quasi metà della pausa che i lavoratori avevano a disposizione. La seconda: che pur avendo lavorato per quasi 365 giorni all’anno con la sua squadra di elfi per arrivare preparati a quell’unica notte del 25 dicembre, non si era mai sentito così stanco in vita sua come in quel momento. Era vietato sgarrare di un secondo, e i movimenti che doveva necessariamente eseguire gli risucchiavano tutta l’energia che aveva in corpo. Questo conduceva alla terza considerazione: quel posto proliferava sulla disperazione. Si guardò intorno per un attimo e scorse sui volti delle persone lì vicine l’ombra della stanchezza che cercava di nascondere malamente quella dell’angoscia. Quella città era piena di disoccupati e gente che non arrivava a fine mese, disperati proprio come lui, che si erano rassegnati a lavorare chiusi in quella prigione di cemento e merci a luce artificiale come ultima spiaggia. E questo Babbo Alazon lo sapeva bene.
Arrivò finalmente alla sala comune, piena di gente. Si mise in un angolo e tirò fuori dalla tasca un piccolo involto arrotolato alla meno peggio: era il suo vecchio sacco magico che un tempo usava per trasportare i regali. Ci era molto affezionato e lo conservava gelosamente; senza contare, poi, che quel lurido sacco gli tornava spesso utile: in quanto magico, poteva contenere un sacco di roba e poteva arrotolarlo riducendolo alle dimensioni di un fazzoletto. Per quel giorno ci aveva messo dentro un panino, una mela gialla, due birre, una maglietta di ricambio e una copia del quotidiano locale trovata su una panchina. La prima pagina recitava: “Scandalo di Natale: sindaco spende i soldi della raccolta di beneficienza fra caviale e champagne”; poco più sotto, la foto scattata di nascosto del suddetto sindaco in mutande e cappellino natalizio in compagnia di due donne.
Il vecchio stava per addentare il suo panino quando la vide. Era da sola, ovviamente, come sempre. I capelli neri, gonfi e un po’ spettinati, gli occhi dello stesso colore e profondi come quelli delle persone che ne hanno passate tante. Vivy era l’unica che gli ispirasse fiducia in quel posto. Viveva con la madre anziana e con la figlia di quattro anni, tre lavori e un affitto da pagare. Non l’aveva mai sentita lamentarsi di nulla. Non l’aveva mai sentita vantarsi di nulla.
La donna alzò un po’ la testa avvertendo la presenza del vecchio lì di fronte a lei. Gli rivolse un sorriso. Era triste e dolce allo stesso tempo.
Gli disse: “Sai a cosa stavo pensando?”
“No”
“A te”
“A me?”
“Si, proprio a te”. Allargò ancora la bocca – giusto un po’ – in un sorriso timido. Quando provava a farlo una luce bianca come la neve si faceva largo dal fondo degli occhi.
“Pensavo che con qualche chilo in più e un vestito rosso assomiglieresti a Babbo Natale”. Il vecchio si bloccò. Per un attimo il vociare indistinto della sala si perse completamente nell’aria. Sentiva solo il suo respiro un po’ affannoso e il rotolare tumultuoso di tante parole e pensieri che volevano salire a galla, che si arrampicavano su per le montagne del suo cervello, desiderose di vedere la luce. No, non poteva. Voleva bene a quella ragazza, ma nemmeno lei gli avrebbe creduto.
Il vecchio sbatté le palpebre e respinse giù con un calcio quell’enorme ammasso rumoroso. Il vociare della sala riemerse.
I due si guardarono e risero fra loro. Era bello, e il vecchio pensò che gli mancavano piccoli momenti proprio come quelli.
Stettero un po’ in silenzio, ognuno mangiando ciò che aveva fra le mani. Alla fine, non avevano bisogno di parlare, se non ne avevano voglia. Anche quel silenzio andava bene. Erano lì comunque, l’uno con l’altra.
“Che ci fai qui proprio oggi?” chiese ad un certo punto il vecchio.
“Se mi stai dicendo che me lo paghi tu l’affitto per il prossimo mese, allora ciao ciao, me ne vado subito” rispose Vivy con la testa appoggiata alle mani chiuse vicino alle guance. Accennava sempre quel suo sorriso gentile.
“Ma oggi è Natale… tua figlia…”
“Non c’è bisogno che me lo ricordi”. Il tono nella voce di Vivy era cambiato, impercettibilmente, una piccola incrinatura in uno specchio delicato.
“Sofia ha quattro anni ed è da un po’ di tempo a questa parte che non festeggia più un Natale decente, senza regali, dolci e tutto il resto. Soprattutto senza sua madre, che sta sempre qui a lavorare per portare due spicci a casa”. Ad ogni parola, l’incrinatura aumentava.
“D’altronde, che colpa ne ho se quello stronzo di suo padre è sparito quando è nata e non si degna di mandare due soldi, nemmeno in forma anonima, lo stronzo”. Una lacrima sbucò da un occhio ma lei fu veloce ad asciugarsela con la manica della felpa. Il vecchio la guardava e la lasciava sfogare. Vivy prese fiato.
La ragazza continuò.
“Sai, c’è questo ippopotamo…”
“Come?”
“C’è un ippopotamo…”
“Un ippopotamo?”
“Si, un ippopotamo, se mi fai finire capisci che non sto impazzendo del tutto, almeno per il momento. Dicevo, c’è la pubblicità di questo cazzo di Ippopotamo Ballerino che danno ormai in tv, sempre, ad ogni ora, ed è un nuovo giocattolo, i bambini ne vanno pazzi, a quanto pare. In pratica non è altro che un peluche che però canta I want a hippopotamus for Christmas, non so se la conosci, la cantava Gayla Peevey nel ’53, avrà avuto dieci anni se non sbaglio…”. Il vecchio fece sì con la testa. Ricordava quella canzoncina, ed ora ricordava pure di aver visto in tv la pubblicità in questione.
“Insomma, Sofia ha visto la pubblicità in tv ed ora vuole questo ippopotamo ballerino, ed ormai conosce la canzone a memoria”. Vivy si fece scappare una piccola risata, subito seguita da qualche lacrima. “E mi chiede sempre: “Mamma, mamma, voglio l’ippopotamo! Me lo regali?” e va avanti così, e io cerco di dirle che ora la mamma non può e che magari Babbo Natale potrebbe portarglielo, chissà! Ma io non ce la faccio a mentirle, a guardarla e a pensare che a malapena abbiamo i soldi per le bollette, figuriamoci per l’Ippopotamo Ballerino…”. Le lacrime e i sensi di colpa avevano ora preso il posto delle parole. La ragazza singhiozzava ma sempre in maniera discreta, quasi controllata.
Il vecchio continuava a guardarla, preoccupato. Pensava che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe risultata fuori posto. Il vociare della sala li inglobò di nuovo
“Ti chiedo scusa” fece il vecchio sommessamente dopo qualche secondo d’incertezza.
“Non preoccuparti, non c’è bisogno di scusarsi”. Vivy si asciugava le ultime lacrime con l’altra manica. L’incrinatura si era risistemata. Si risistemava sempre, nonostante tutto. Il vecchio si chiedeva come facesse, e la ammirava soprattutto per questo.
Si ricordò del balletto che la piccola Peevey faceva ad un certo punto della canzone. Il vecchio gonfiò la pancia e le guance, si portò le mani sul ventre ed iniziò a muoversi a destra e a sinistra, i gomiti ben rigidi che puntavano all’esterno.
Lei rise, ed il sorriso di Vivy era così splendente che riuscì a cancellare qualsiasi lacrime osasse uscire ancora fuori.
Ritornato alla sua postazione, la prima cosa che vide sul nastro trasportatore fu un grosso scatolo contenete un tappetino per giocare a golf da mettere alla base della tazza del water mentre si era seduti a fare le proprie cose. Sulla confezione, un tipo sorrideva stringendo una piccola mazza da golf, seduto con i pantaloni calati. Il vecchio scosse la testa e si rimise al lavoro. Passava di tutto su quel nastro, e l’unica cosa che non passava era un leggero dolore alla schiena; sentiva anche i piedi andare a fuoco per quanto tempo stava ormai in piedi.
Quindici smartphone; sette paia di guanti glitterati; ventotto palloni da calcio dello stesso colore e firmati; tre coppie di rami finti; cinque diversi modelli di uno smartwatch; due braccialetti per misurare il livello di appetito; un vibratore viola da 35 cm; un doppio vibratore da 40 cm; un teleobiettivo che fa da tazza per la colazione; cinque paia di scatole di cerotti a forma di bacon; due scatole con su scritto “Carne di unicorno”; una bocca antirughe; sette altri smartphone; quattro scatole di latta di “Carne di drago”; tre mouse zebrati; uno scopino del wc a forma di microfono. I suoi occhi stanchi si perdevano in quella sfilata senza fine, dove ogni cosa si confondeva con quella prima e quella dopo, tutte uguali, un fiume in piena che sembrava stesse montando di minuto in minuto. Non aveva visto niente del genere in tutta la sua vita da Babbo Natale.
Dopo aver imballato un vestito da squalo per cani, prese l’oggetto successivo, non lo guardò neanche. Stava già per ficcarlo in fondo alla scatola quando si accorse di ciò che stava stringendo: era un peluche dell’Ippopotamo Ballerino. Lo scrutò per un attimo, e si fermò di colpo. Guardò al volo lo schermo: ormai non mancavano molti pezzi alla fine, e se anche uno ne fosse mancato all’appello, nessuno se ne sarebbe accorto. Ogni tanto da quei magazzini spariva qualcosa e nessuno sapeva come.
Non ci pensò su molto. Si guardò intorno, vide solo il caposquadra che se ne stava lontano appoggiato ad una colonna a ridere guardando video su TikTok. Fu veloce a tirare fuori il suo sacco magico da una delle tasche e a ficcarci dentro il peluche. Lo piegò alla rinfusa, tremante, riducendolo alle dimensioni di una pallina da golf, ricacciandoselo di nuovo in tasca. Riguardò intorno. Quello continuava a ridere come un idiota. L’unico che lo osservava era lo schermo della postazione. Si aspettava che da un momento all’altro si mettesse a parlare con una voce robotica e inquietante come un Hal 9000. Ma rimase muto. Il vecchio fece una smorfia. Agguantò un paio di ciabatte leopardate con il pelo e continuò a lavorare facendo finta di niente, maledicendo la sua schiena e quel posto.
I fiocchi di neve stavano ormai scendendo lungo uno dei grossi viali d’ingresso ai magazzini, quando uscirono i primi. I turni delle 20:30 erano finiti. La gente si stringeva uno all’altro, le orbite degli occhi che sembravano vuote per la stanchezza. Avanzavano come un piccolo esercito; dall’alto, il fiato glaciale delle loro bocche sembrava quello delle ciminiere industriali. Chi tossiva sotto quel freddo che faceva gelare i polmoni, chi si era fermato a fumare l’ultima sigaretta, chi si precipitava a prendere l’autobus per ritornare in città.
Vivy augurò buon Natale al vecchio prima di allontanarsi. L’abbracciò e la strinse forte a sé. Intravide la piccola Sofia con sua nonna poco più avanti sul viale mentre attendevano Vivy. I fiocchi iniziavano a scendere sempre più fitti.
Non appena la ragazza si avvicinò alla bambina, Sofia si lanciò in un abbraccio. Il vecchio pensò che dovesse essere bello avere qualcuno da abbracciare dopo essere usciti da un posto come quello. Si soffiò alito caldo nelle mani. Fu in quel momento che con la coda dell’occhio vide la bambina che lo indicava. Si era allontanata dalla madre di qualche passo, ed ora guardava Vivy ed ora lui. Sembrava come eccitata, e quanto più lo osservava, tanto più il suo viso sembrava illuminarsi.
Il vecchio si avvicinò un po’. I fiocchi scendevano leggeri e atterravano delicatamente sotto la luce dei lampioni del viale. La bambina urlava e rideva. Ora poteva sentirla chiaramente. “Mamma, mamma, Babbo Natale! Babbo Natale!”. Vide più in lontananza Vivy che cercava di persuaderla e di convincerla che dovevano andare a casa. Ma non c’era verso. La bambina stava indicando lui, il vecchio. Sofia guardò ancora una volta la madre prima di avvicinarsi lentamente all’uomo.
Il vecchio sentiva la sua gola secca. Mille pensieri iniziarono a rotearli per la testa. Ma non appena la bambina fu vicina a lui, fu come uno shock. La sentì dire ancora: “Babbo Natale! Tu sei Babbo Natale!”. Il vecchio si inginocchiò. Si guardarono entrambi negli occhi per quelli che sembrarono secondi interminabili. Negli occhi della piccola non c’era paura. Non scorse timore, né incertezza. Solo occhi semplici come la neve di una bambina di quattro anni.
Il vecchio tirò fuori il suo sacco magico, rovistandoci dentro. La bambina lo guardò incuriosita, e fu davvero come assistere al big bang quando il peluche fece all’improvviso la sua comparsa dal bordo del sacco. Le guance di Sofia si tinsero di rosso e la sua piccola bocca si spalancò. Prese il peluche, lo accarezzò e si girò verso la madre per mostrarglielo.
“Grazie Babbo Natale”. Quella piccola voce sembrava provenire dall’aria intorno, dalle case illuminate dai camini, da ogni albero addobbato. Al vecchio suonò come la voce di tutti i bambini che aveva reso felici anche solo per un giorno.
Si strinsero l’uno con l’altra, il piccolo corpo di lei contro il debole corpo di lui. La neve scendeva dal cielo silenziosamente per assistere a quel piccolo miracolo. La luce dei lampioni era pallida. Tutto intorno era bianco. Si era fatto silenzio.
Era il più bel Natale di sempre.
Ed ecco la piccola sorpresa. Buone feste a tutti!
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